Lasciare un lavoro sicuro per diventare imprenditore agricolo
Giuseppe Romagnoli
GROPPALLO DI FARINI (Piacenza) – Ci vuole coraggio, un po’ di giovanile incoscienza, e soprattutto tanto amore per il proprio territorio con la inebriante libertà di reinventarsi imprenditore agricolo.
È stata la scelta di Danilo Rossi che ha deciso di lasciare un sicuro e remunerativo lavoro presso un’importante azienda metalmeccanica ubicata in provincia di Piacenza (dopo il diploma presso il professionale per l’Industria), per diventare imprenditore agricolo a casa propria, nella storica azienda di famiglia abbarbicata nell’Appennino, nella suggestiva cornice delle montagne in località Pometo a Groppallo di Farini (Pc).
È stata una definitiva scelta di vita, andando decisamente controcorrente, perché oggi l’alta collina e la montagna, almeno nel piacentino, la si abbandona per andare a lavorare in città; manca infatti un po’ tutto: servizi, divertimento, strutture, con una comunicazione sempre un po’ “ballerina” ed incerta. Il reddito, poi, è quello che è, bisogna reinventarsi un ruolo multifunzionale, combattendo ogni giorno con i disagi di strade tenute alla meno peggio, con le coltivazioni costantemente minacciate dalla fauna selvatica e con condizioni meteo a volte estreme che causano frane e smottamenti.
Ma ci sono sul piatto della bilancia altre valutazioni: si lavora a casa propria, si è imprenditori di se stessi, liberi quindi di esperire nuove e continue possibilità, soprattutto si è giovani e quindi, se come in questo caso si è supportati dalla famiglia, c’è entusiasmo e voglia di mettersi in gioco.
A Pometo, in azienda, c’era, come quasi ovunque, una stalla da latte. Pochi capi, prodotto eccellente e, soprattutto, una cooperativa di trasformazione che consentiva di dare un valore aggiunto al proprio prodotto. E caseificio significa stalle ed attività indotte, ovvero lavoro per molti. Ma quando viene meno, come in questo caso, la forza e la coesione della trasformazione in loco, tutto crolla.
I conferimenti verso la pianura diventano troppo onerosi, vengono meno gli indispensabili contributi e si perde il ruolo sociale di un caseificio. Così ne soffre il territorio e la cura che la presenza dell’uomo può offrire per contrastare abbandono e degrado.
I pochi che rimangono si arrangiano ed a questo punto però, se qualche giovane ha il coraggio di restare, ci sono speranze per il futuro. Così Danilo, grazie ai Piani di primo insediamento, ha cominciato a lavorare a fianco del padre Ernesto, “storico” dipendente della Cia di Piacenza, ora in pensione, e della madre Loredana Del Molino. L’azienda è 50 ettari, parte in affitto, parte in proprietà ed è certificata bio.
Vi si coltiva grano tenero, patate e soprattutto erba medica, conferita in parte nei territori limitrofi dove sono ancora attive stalle che producono latte trasformato in parmigiano reggiano.
Un altro non secondario introito è assicurato dalla vendita della legna che è diventata sempre più importante per il reddito familiare, anche se quest’anno, le abbondanti nevicate hanno impedito i tagli nei boschi ed ora si dovrà attendere il periodo in cui saranno di nuovo consentiti. Il lavoro per un giovane è quindi duro, impegnativo, ma ci si aiuta reciprocamente tra giovani (pochi) che hanno adottato la medesima decisione di Danilo che fin da piccolo è sempre stato appassionato di meccanica agraria e di mezzi agricoli, il cui parco è naturalmente stato potenziato negli anni.
Grazie ai Piani di primo insediamento è stato costruito un nuovo capannone che servirà per il ricovero dei foraggi e del fieno, come della legna che, per essere tagliata, abbisogna di un luogo asciutto dove poi accatastarla. Ma oggi lavorare in montagna è sempre più difficile, chi coltiva deve convivere con la fauna selvatica che distrugge in poco tempo il lavoro di mesi.
Non ci sono solo i cinghiali a vanificare i raccolti, per contrastarli ci sono i selettori, anche se sovente non sono sufficienti ma, in particolare a Pometo, i danni più ingenti sono provocati dalla presenza di numerosissimi istrici che fanno sparire rapidamente intere file di piante di patate che sono particolarmente buone e con un mercato consolidato.
Per contrastarli, poiché sono animali protetti, è stato necessario recintare tutti gli appezzamenti, un lavoro che non gode in questo caso, si nessun contributo, come invece l’elettrificazione che è coperta dai vari Atc. Ci sono poi i daini che, in zone sotto ai mille metri (Pometo è in questo senso protetta), divorano le foglie dolci del rovere con danni permanenti al bosco.
Insomma, chi opera nelle zone svantaggiate, fa parte di quella che già a più riprese, abbiamo definito, agricoltura “eroica”. Ma qui c’è la forza di una famiglia unita e coesa, con un giovane che si impegna e con un sogno nel cassetto, con le sorelle impegnate però in altre attività professionali: un agriturismo, perché il posto è incantevole, i prodotti del territorio sono di grande qualità e la signora Loredana ha fama di ottima cuoca.
Bisogna solo attendere che “i confini” si riaprano, che la gente possa tornare, passata la pandemia, a godere delle bellezze e dell’ospitalità del proprio suggestivo territorio.
Se così sarà, c’è da scommettere che forse una struttura ricettiva la si troverà ad accogliere la gente anche a Pometo di Farini.