Lungo le filiere soffrono aziende agricole e consumatori
L’aumento record delle materie prime nel 2021 sta avendo effetti negativi sui costi di produzione delle aziende agricole, anche su comparti strategici del nostro territorio, come orticoltura, frutticoltura e allevamento. A lievitare, secondo i dati Istat, elaborati dall’Unione Nazionale Consumatori, sono anche i prezzi al consumo di alcuni prodotti agricoli: le pere registrano quasi un +30; orticole come melanzane, zucchine, cetrioli + 17,5%; pasta + 10,2%; vegetali come insalata +7,2; olio d’oliva + 6,2%.
Cia – Agricoltori Italiani Ferrara, che da un anno ha stretto una partnership con Confconsumatori Ferrara per sancire un vero e proprio “patto etico” di tutela tra produzione e consumo, lancia l’allarme su questo doppio aumento, come spiega il presidente di Cia Ferrara, Stefano Calderoni.
“L’incremento dei costi di produzione incide fortemente sui redditi delle aziende agricole perché a tali aumenti non corrisponde quasi mai un prezzo remunerativo pagato all’origine. Abbiamo spesso affrontato tempeste di mercato speculative che hanno provocato bilanci in rosso, chiusura delle nostre aziende – nel biennio 20/21 perse 265 aziende in provincia – e il mancato ricambio generazionale, ormai vitale per la tenuta del settore. Ma non pensavamo di vedere – continua Calderoni – lo tsunami che ci ha investiti nel 2021: secondo i dati forniti a Cia dalla società Areté – che si occupa di statistiche e analisi di mercato – il petrolio è aumentato di circa il 70% rispetto al 2020 e il gas naturale è raddoppiato in meno di un anno, facendo lievitare i costi dell’elettricità e del carbone. I mercati energetici hanno trasmesso, dunque, i loro squilibri con conseguenti speculazioni sui mezzi tecnici usati in agricoltura come concimi, mangimi, plastiche e agrofarmaci. In questo contesto sono cresciuti anche i prezzi dei cereali – mais + 32% rispetto, soia + 22%; frumento tenero +41% a gennaio 2021 – e si potrebbe pensare che questo abbia determinato un aumento delle marginalità per gli agricoltori ma, dati alla mano, non è così perché il plus viene eroso da costi di produzione fuori controllo. È inoltre opportuno ricordare, ad esempio, che l’incidenza dei cereali sul prezzo del pane è meno del 10% ed una sua fluttuazione non può essere la giustificazione per aumenti che, per chi acquista, sfiorano il 30%. Questa, dunque, è una situazione in cui non vince nessuno: sicuramente non le aziende agricole, che grazie ad un aumento di alcuni prodotti hanno compensato solo in parte i maggiori costi, ma nemmeno i consumatori che pagano lo scotto di un generale aumento del costo della vita. Una borsa della spesa che diventata pesante, così come è pesante il costo pagato dalle aziende per produrre i beni venduti sugli scaffali dei supermercati. In questa fase come agricoltori non vogliamo essere il parafulmine per tentativi, talvolta goffi, di giustificare aumenti a doppia cifra di beni di prima necessità. Oggi va stigmatizzato il comportamento di quei distributori che continuano applicare pratiche sleali che obbligano i coltivatori a vendere sottocosto e che, al contempo, fanno schizzare i listini dando la colpa a supposti aumenti in campo di frutta e verdura. Serve – conclude Calderoni – un osservatorio sui prezzi per monitorare gli aumenti e frenare tentativi di speculazione, che rischiano di mettere in ginocchio chi produce beni alimentari e i clienti della distribuzione. La crescita che sta seguendo alla crisi del 2020 deve garantire una equa distribuzione del valore a tutti gli anelli della filiera, con un’attenzione particolare a produttori e consumatori”.