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Soia: prodotto estero OGM quotato di più che quello italiano

Il mercato della soia preoccupa di produttori di Cia-Agricoltori Italiani Ferrara, alla luce delle ultime tendenze registrate dalla Borsa Merci della Camera di Commercio di Bologna. Nelle ultime settimane, da quando è terminata la raccolta e si è iniziato a quotare la soia italiana, il prezzo è stato tendenzialmente inferiore – dai 5 ai 10 euro/tonnellata – a quella OGM proveniente dall’estero. Un trend che non stupisce l’associazione, visto che negli ultimi anni la forbice di prezzo è sempre stata a favore del prodotto importato, ma che svilisce l’impegno degli agricoltori a produrre una soia di qualità e assolutamente non transgenica.

“Possiamo chiamarla anomalia o paradosso di mercato, ma il risultato è sempre lo stesso: noi produciamo una soia non OGM, che viene quotata meno rispetto a quella estera completamente transgenica, prodotta senza alcun disciplinare che ne regoli la reale salubrità – commenta Massimo Piva, produttore e vicepresidente di Cia Ferrara-. La produciamo, peraltro, affrontando costi di produzione più elevati rispetto a quelli di altri paesi, perché un seme non geneticamente modificato è meno resistente e noi abbiamo ormai pochissime molecole efficaci per contrastare parassiti sempre più aggressivi. Nonostante le difficoltà, la campagna produttiva è stata discreta, la qualità è buona e non ci sono ragioni di deprezzamento del prodotto italiano, se non puramente speculative. Chiaramente la soia italiana non sopperisce alle esigenze interne, quindi l’importazione da paesi esteri è necessaria. Ma, come ripetiamo da anni, non si può mettere sullo stesso piano due prodotti che non sono comparabili in termini di valore, perché il nostro prodotto è sicuro, sappiamo da dove proviene e come lo produciamo. Servirebbe, dunque, una distinzione chiara e sancita da un disciplinare preciso e la soia italiana dovrebbe far parte di una “Filiera di valore”. Certamente sarebbe essenziale – continua Piva – ricominciare a ripensare a un marchio identificativo per il prodotto Made in Italy, un progetto che avevamo messo in campo e che poi si è arenato, per le difficoltà ad accordarsi con l’intero mondo agricolo. Perché un marchio comune funziona se coinvolge un numero consistente di produttori e se le associazioni fanno un passo indietro, senza voler metterci per forza la loro bandiera. Noi vorremmo riaprire un tavolo per concretizzare finalmente questo percorso di qualità, perché grazie a uno sforzo condiviso gli agricoltori potrebbero ricominciare a fare reddito con la soia”.

Essenziale, per Cia Ferrara anche continuare a fare ricerca e innovazione sulla soia e su molti altri prodotti che vivono uguali periodi di difficoltà da un punto di vista fitosanitario e di mercato.

“Gli agricoltori hanno bisogno, come ogni altra attività produttiva, di avere un profitto dal proprio lavoro per continuar a lavorare e reinvestire, anche in ricerca. Penso al genoma editing o alla cisgenetica, tecniche di ingegneria genetica che “curano” il DNA delle piante e vanno nella direzione opposta rispetto alla transgenetica degli OGM – dove si sostituiscono i geni degli organismi vegetali con quelli di specie diverse– e puntano a migliorare resistenza delle piante a fitopatologie sempre più aggressive. Solo così – conclude il vicepresidente di Cia Ferrara –  con un progetto comune che guarda al futuro e all’innovazione del settore, si può evitare che le aziende produttrici chiudano e che il nostro mercato e dunque le nostre tavole, siano invasi da soia OGM proveniente dall’estero”.

 

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